lunedì 28 giugno 2010

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Vi proponiamo oggi una lunga e piacevole intervista realizzata con l'ex professionista Matteo Galli, classe 1981, ritiratosi dal circuito mondiale al termine della deludente stagione 2008. L'azzurro, che si è dedicato a tempo pieno all'attività di maestro/coach presso l'Accademia Tennis Mongodi di Cividino (Bergamo), si è volentieri concesso alle nostre domanda, toccando anche argomenti "caldi" del settore, come il rapporto genitori/figli, quello coach/allievi e tanto altro ancora.

Come mai la scelta di abbandonare il circuito così "presto"? E' arrivata bruscamente o la meditavi da tempo? Ti sei pentito?
Il 2008 è stato un anno molto difficile. Ho sbagliato la scelta delle racchette e molte altre cose, e con il tempo la voglia di girare e stare in giro era sempre meno e preferivo rimanere a casa. Improvvisamente mi è stata offerta la possibilità di fare il maestro e l'ho colta volentieri. Non mi sono pentito, anche se ogni tanto ho dei piccoli rimpianti. Qualche volta dopo una partita giocata bene mi vien voglia di tornare, poi però ci penso, penso al lavoro che sto facendo e che mi piace, e tutto passa.

Cosa rimpiangi principalmente del circuito? E cosa no?
Rimpianti? Niente di che. Sicuramente qualche amico, come Andrea Stoppini e Mattia Livraghi, ma per quanto concerne il resto direi nulla. Certamente invece non mi mancano i frequenti viaggi e spostamenti, in quanto non ero uno che prendeva l'aereo e quindi spesso dovevo viaggiare a lungo con altri mezzi.

Quali sono gli aspetti positivi della tua nuova professione?
Sicuramente l'affetto che ti dimostrano i bambini e i genitori con cui lavori tutti i giorni, sempre che il lavoro venga fatto bene. Poche cose sono paragonabili alla soddisfazione che portano i bambini. Quest'anno ne ho avuto dimostrazione alcune volte, quando ad esempio ho deciso di rimanere qua per la prossima stagione infatti, ho ricevuto numerosi messaggi dai genitori, cosa che mi ha ovviamente fatto molto piacere.

Quelli negativi invece?
Purtroppo quando una persona si trova ogni giorno ad avere a che fare con gente che la pensa in maniera diversa è un bel problema, soprattutto quando queste persone credono di essere delle divinità e invece non lo sono affatto... Hanno fatto solo terra bruciata... Ma meglio non andare oltre, come si dice, "non meritano commenti".

Le principali difficoltà nel seguire i giovani?
Fin ora devo dire di non averne trovate. Per adesso ho molta voglia di girare con i miei allievi, e questo fa piacere anche a loro. Come prima cosa penso di debba instaurare un rapporto di amicizia e confidenza con i ragazzi che si vanno ad allenare in quanto questo è utile ad ambo le parti. Se non riuscissi a costruire questo rapporto, cosa che però non mi è mai capitata, penso che seguirli come maestro/coach potrebbe diventare difficile. Ritengo infatti che prima di tutto sia importante l'ascolto: ascoltare un allievo dalle 9 a mezzanotte, aiutarlo quando ne ha bisogno e seguirlo in tutto e per tutto, parlando magari anche di un brutto voto preso a scuola. Questa mia idea sin ora ha dato buoni risultati e spero sia così anche in futuro.

Cosa ne pensi del rapporto fra genitori e figli nel tennis? Nell'ultimo periodo se n'è discusso molto, tu che idea ti sei fatto in merito?
Molto spesso è un problema. Io attualmente alleno una decina di ragazzi e qualche genitore troppo ossessivo c'è. Io cerco sempre di tenerli il più possibile lontano dal campo, in quanto, pur non volendo, mettono pressione ai propri figli. Un bambino quando scende in campo vuole vincere a tutti i costi e non gli interessa nulla ne del punteggio ne del tennis espresso. Di conseguenza in caso di sconfitta un bambino pensa magari di aver deluso la mamma o il padre accorsi a vederlo e ciò non gli permette di giocare al meglio delle proprie possibilità. Ultimamente sono andato spesso nei tornei , e ho visto i classici genitori che chiamano punteggio, che si lamentano delle palle e del resto. Secondo me sono cose sbagliate perché comunque sino 14/16 anni vincere conta relativamente, soprattutto a certi livelli. Dai 16 anni in poi invece si può iniziare a pensare alla vittoria, ma è sempre meglio girare con il proprio allenatore, lasciando il più possibile i genitori a casa.

Pensi che il sistema delle accademia con le quali vengono cresciuti i giovani di oggi sia troppo duro?
Non so. Parlando di qua, ossia dell'Accademia Tennis Mongodi, penso che il termine accademia sia un po' eccessivo. Il mio obiettivi è quello di instaurare un rapporto coach/giocatore, e se un ragazzo viene ad allenarsi qua voglio seguirlo, e non magari insegnargli a giocare a tennis e poi lasciarlo andare da solo nei tornei "fregandomene" di lui, non è giusto. Preferisco seguirlo 24 ore su 24 e far avere ad ogni ragazzo un maestro di riferimento, in rapporto 1 a 2, o 1 a 3. Non è che siccome è un'accademia una giocatore viene qua, si allena una settimana, e se ne torna a casa e poi se magari vince se ne vuole anche il merito. Non lo trovo ne giusto ne tantomeno utile.

Come ti sei trovato sin ora in questa Accademia?
Sono stati senza dubbio due anni difficli, con più bassi che alti, ma alla fine è andata come speravo andasse. Ho conosciuto gente che sa il fatto proprio nel mondo del tennis, come il maestro Luca Bruno che da solo è riuscito a crearsi una giocatice come Giuliana Bestetti, (una delle ragazze più promettenti del 1997), e il preparatore atletico Ljubisa Radmantovic, molto bravo e con il quale mi trovo bene. Il prossimo anno lavorerò con la maestra Alessandra Gandossi, con Marco Santinelli , Fabrizio Canè e Gianluca Donna, persone con le quali ho un buon rapporto, e con le quali penso e spero di poter fare un buon lavoro.

Quali i maggiori problemi?
Purtroppo ho riscontrato che non c'è la giusta mentalità per la "creazione" di un giocatore completo. Per fare il professionista è necessario stare sempre in giro, lontano da tutto e tutti, e questa è una cosa difficile da far capire ai ragazzi (ci misi molto anche io a capirlo) e sulla quale bisognerà lavorare molto.

Vuoi spendere due parole sui tuoi giovani più interessanti?
Al momento io seguo Jacopo Locatelli, un 2.4 del 1991 che probabilmente ha già i punti per passare 2.2 o 2.3. Jacopo è un buon giocatore e può diventare forte. Ora sta affrontando la maturità e poi insieme al padre discuteremo se sarà il caso di continuare o meno. Un altro ragazzo è Filippo Sacco, 16 anni, classifica 3.5. Ha una gran voglia di tennis ed è una bellissima persona, spero che riesca ad ottenere dei buoni risultati, perché se li merita tutti e ogni giorno da il 120%. Ho poi altri ragazzi dell'agonistica sui quali punto molto.

Parliamo ora del Galli giocatore. Soddisfatto di ciò che hai fatto vedere e dei risultati ottenuti nella tua carriera?
Sicuramente no, in quanto potevo fare molto di più, ma la mia testa e la paura dell'aereo mi hanno bloccato. Tutti mi han sempre detto che avrei potuto fare di più, ma è andata come è andata. Come ben sapete il livello dei tornei in Italia e dintorni è ben più alto rispetto a quello di posti lontani, che si possono raggiungere solo con l'aereo. Per testa invece intendo il non accontentarsi di aver fatto bella partita il giorno prima, di stare a un torneo a 1000 km di distanza da casa e voler tornare perché rientravano gli altri e quindi dovevo stare da solo. E poi dare il 100%, cosa che non sempre mi riusciva: magari ero condizionato dal fatto di dover stare da solo, e il giorno prima vincevo con uno forte, mentre il giorno seguente giocavo 100 volte peggio contro uno 100 volte più scarso e non riuscivo a vincerci.
Quali obiettivi ti eri posto agli inizi?
Non mi sono mai posto obiettivi precisi. Se consideriamo però che a 20 anni ho battuto Verdasco(lui ne aveva 18), che poi ha chiuso la stagione nei 300, andando 100 in quella successiva. Nel 2005 ho vinto con Gulbis, cose che contano poco, ma che dimostrano che avrei potuto sicuramente fare di più e invece non sono andato oltre la 524esima posizione del ranking ATP. Se fossi stato più abile di testa e avessi avuto più voglia di stare in giro avanti con l'età avrei potuto fare molto meglio molto prima.

Quest'anno hai giocato la Serie A2 al Tennis Club Garden di Milano. Come ti sei trovato? Un commento ai tuoi match?
Per quanto riguarda il club mi sono trovato molto bene e spero di conseguenza di poterci rimanere per lungo tempo. Anche le partite, inaspettatamente, sono andate bene dato che ne ho vinte 6 su 8, perdendo solo da Guillermo Carry e da Mosè Navarra sul veloce, in un match nel quale ho preso 50/60 aces. Ho battuto Menga, Prader, Dimov, un altro 2.3 e due 2.2. Sono soddisfatto e non me l'aspettavo, anche perché quest'anno mi sono allenato molto meno dello scorso.

Giocherai ancora qualche torneo?
Ad Agosto vado per due settimane o in Croazia o un Austria con Locatelli per dei tornei Future e potrei anche schierarmi. Per quanto riguarda invece gli Open non mi piacciono come mentalità, e giocare per soldi non mi stimola. Certo, se ho un torneo vicino a casa ci vado, ma non mi piacciono particolarmente.

Per concludere, vuoi fare un ringraziamento particolare?
Si! Ringrazio la famiglia Mongodi e il direttore Foresti che ci ha dato la possibilità di gestire un posto così importante, e ci auguriamo di riuscire a raggiungere i nostri obiettivi nel miglior modo e minor tempo possibile.

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